Ma chi erano mai questi Beatles?
Grazie al Prof. Eugenio Ambrosi, uno dei massimi esperti italiani in materia, abbiamo passato una serata dedicata ai Beatles, che a distanza di quasi cinquant’anni dal loro scioglimento ufficiale – e dopo la morte di due dei quattro componenti – contano ancora un enorme seguito, con numerosi fan club esistenti in ogni parte del mondo.
2.000.000.000 di dischi venduti, 3500 libri scritti su di loro, 5.000 persone stimate nel mondo che vivono grazie a loro, Liverpool rinata dopo essere stata nominata in loro onore Capitale europea della cultura 2008.
A ben vedere la storia dei Beatles comincia sotto le bombe tedesche del 1940, quando a Liverpool nascono John Winston Lennon e Richard Starkey, per tutti Ringo Starr. E di lì a poco Paul McCartney e George Harrison. Poi, nel dopoguerra, anche il Regno Unito scopre una nuova età dell’oro: l’economia cresce vertiginosamente, ridefinisce l’organizzazione sociale del paese, industria e commercio producono risultati da record. La popolazione si allarga, l’aspettativa di vita si allunga, la disoccupazione si abbassa. Ed i giovani, i baby boomers figli del boom economico, in Inghilterra come negli USA come nel resto d’Europa, acquistano peso numerico e rilevanza sociale, trovano lavoro ed hanno soldi per comprarsi il divertimento: libri, musica, cinema, auto e quant’altro.
Liverpool, alla foce del fiume Mersey, è una città portuale a forte vocazione industriale, porto di mare naturale e porta verso il Nord America ed è qui che nel Novecento i marinai importano un prodotto richiestissimo dai teenagers: i dischi di musica jazz, blues, soul ma, soprattutto, rock. E nascono centinaia di gruppi musicali che danno origine al Merseybeat. Tra loro, i futuri Beatles.
Nel dicembre 1961 i Beatles firmarono il contratto con il manager Brian Epstein, a giugno fecero un provino con il produttore George Martin della Parlophone ed a settembre incisero il primo disco, Love me do, 17° posto nella hit parade. In testa alla classifica ci andarono a gennaio, con Please please me, e per sette anni non ne scesero più.
Nel 1963 la Beatlemania si diffuse in Gran Bretagna come una pandemia; a novembre la Regina Madre li applaudì al Royal Variety Show, senza far tintinnare i gioielli come John aveva suggerito.
Nel 1964 portarono contemporaneamente sette dischi in classifica nei primi venti, l’Europa li accolse a braccia aperte, e così gli USA ed il Canada, l’Australia, il Giappone.
I Beatles avevano ormai tutto: la fama, i soldi, il sesso, l’ammirazione. Cosa potevano desiderare di più dalla vita? Un riconoscimento ufficiale? Ci pensò la Regina, nominandoli baronetti.
I Beatles conobbero la marijhuana, auspice Bob Dylan, durante la tournee USA del 1964; all’LSD arrivarono l’anno dopo per una pasticca galeotta nel caffè a loro insaputa: “terribile e fantastico” fu il commento di John al senso di realtà alterata che lo sconvolse. Il segnale del cambiamento che ne venne si trova nell’album Rubber soul, il primo della trilogia (con Revolver e Sgt Pepper’s) che cambiò la scena ed il senso della musica pop. Il pezzo The word / La parola, di John & Paul, fu preludio all’era del flower power ed antesignana di All you need is love: ad un certo punto nella vita scopri che l’amore è la risposta a tutto. Il nostro messaggio, dirà Ringo, era: Amore.
I Beatles non erano più i quattro ragazzi partiti da Liverpool alla conquista del mondo: erano ora i Fab(oulus) Four, ai quali milioni di giovani nel mondo guardavano come ad una icona, ad ovest come ad est, come ad un idolo, come ad una nuova religione.
Il 2 marzo 1966 Maureen Cleave dell’Evening Standard si recò ad intervistare John Lennon: “Il Cristianesimo finirà. Svanirà nel nulla. Non c’è bisogno di discuterne: ho ragione e il tempo mi darà ragione. Al momento noi siamo più popolari di Gesù Cristo”. In Inghilterra l’intervista passò inosservata, ma tre mesi dopo, ripresa negli USA, ebbe un effetto devastante negli Stati integralisti del Sud, il Ku Kux Klan bruciò croci con il logo beatlesiano, lanciando minacce di morte. John chiese scusa a modo suo: “Non sono contro Dio né contro Cristo né contro la religione. Non ho detto che siamo migliori o più importanti di Gesù Cristo, ho detto semplicemente che siamo più famosi”.
La tensione caratterizzò l’intera tournee. Lasciando San Francisco dopo l’ultimo spettacolo, George chiarì che non ci sarebbe stato un altro concerto dei Beatles: the game is over.
Di fatto lo scioglimento avvenne nell’aprile 1970, dopo altre decini di singoli ed album di successo e dopo la fondazione della Apple, la loro casa discografica, molto più in effetti di una mera etichetta discografica: una galassia di iniziative che andavano a coprire buona parte degli ambiti artistici di loro interesse. L’idea era quella di sottrarre gli artisti, soprattutto quelli nuovi in cerca di spazi per emergere, ai vincoli delle logiche capitalistiche dello show business. Ma furono travolti dalla loro stessa idea ed una alla volta le varie aree di attività furono costrette ad ammainare bandiera.
Poi, l’8 dicembre 1980, John Lennon fu assassinato a New York da un fan squilibrato: the dream is over.
Eugenio Ambrosi
“The Beatles”: da band sgangherata a mito, il contributo delle Relazioni Pubbliche
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