Paolo Vatta ci parla del CoViD-19

Paolo Vatta
Con piacere portiamo a conoscenza di tutti gli interessati l’intervista che il nostro socio Paolo Vatta ha rilasciato al Corriere della Sera in merito al CoVid-19, acronimo di Co (corona); Vi (virus); D (‘disease’, malattia) e 19 (l’anno di identificazione del virus), detto anche “coronavirus”. L’intervista, condotta dal giornalista Francesco Magris, è stata pubblicata sul Corriere della Sera del 20 aprile.
Potete leggerla in allegato o nel seguito. Buona lettura!
Allegato: Intervista-pdf 9 pagine
COVID-19, QUANDO SAPERE È POTERE: INTERVISTA AL BIOLOGO PAOLO VATTA
Sapere – dice un vecchio proverbio abusato sino alla retorica ma non per questo meno valido – è potere. In questo momento l’incognita maggiore e anche il nemico che ci minaccia da vicino è ovviamente il CoViD-19 e tutti vogliono saperne di più – chi per sopravvivere, chi per vivere meglio, chi per aiutare ed essere aiutati, altri ancora per sapere cosa si può e si deve fare e cosa invece non si può e non si deve fare. Quel che appare certo è che abbiamo bisogno di conoscenza, non di opinioni in ordine sparso né di discussioni ideologiche; e non abbiamo bisogno di opinioni anche perché l’opinione, come dicevano gli Antichi, è il contrario della verità e da troppe opinioni si origina facilmente una paralizzante confusione.
Mi ha molto colpito, in questi giorni, leggere alcune domande poste dagli studenti del triennio dell’indirizzo Economico-sociale dei Licei Giustina Renier di Belluno e raccolte da una loro insegnante. Ragazze e ragazzi che chiedono di sapere; senza alcuna presunzione e con una passione che rivela la profondità e la necessità della loro curiosità. Se tutti, o almeno molti, ponessero domande come queste ed esse trovassero le doverose risposte, la nostra vita sarebbe di certo più semplice e lineare. Questi ragazzi si pongono le domande che ci poniamo tutti in fondo, si chiedono quello che mi chiedo anch’io anche se poi, a differenza loro, mi lascio talora irretire nella nebbia dei talk show spesso inutili perché più inclini a nutrire la forma a discapito della sostanza. Cosa vuol dire veramente essere portatori? Il contagio subìto e superato mette al sicuro da un nuovo contagio o no? In una situazione così preoccupante, quanto possiamo fidarci delle affermazioni scientifiche in merito al coronavirus? Circolano notizie false o affermazioni non comprovate? Al termine dell’epidemia, se mai si potrà parlare di una vera e propria fine, ci saranno delle forme di controllo e limitazione all’esercizio della socialità? Se siamo stati il paese con il più alto numero di contagi e decessi, quale può essere stata la causa? Forse la mancata tempestività nel dare una risposta immediata all’epidemia o non sono stati attuati adeguati e sufficienti provvedimenti restrittivi?
Si ha bisogno di risposte certe a domande come queste ed è questo che quei ragazzi chiedono: risposte vere e oggettive, basate sulla realtà, avallate dalla scienza e da un certo Sapere; essi non sono interessati alle arringhe autocelebrative come quelle alle quali assistiamo troppo spesso. In tale contesto, gli interlocutori essenziali sono gli specifici uomini di scienza, studiosi di virologia, epidemiologia e infettivologia, persone che passano il loro tempo accanto ai malati e nei laboratori, seguendo ogni giorno da vicino l’evolversi della situazione su tutti i fronti.
Per queste ragioni ho pensato di “girare” le domande di questi studenti a una delle persone più competenti, aperte e sensibili che io conosca: il dr. Paolo Vatta, titolare di una Laurea in Scienze Biologiche presso l’Università di Trieste e di un Master of Science in Software Engineering presso la Golden Gate University di San Francisco. Paolo Vatta, dopo essere stato ricercatore alla SISSA di Trieste e all’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, è attualmente ricercatore presso il Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità a Roma. Insomma, parliamo di una persona che, oltre ad una grande competenza ed esperienza, gode di una prospettiva certamente privilegiata sulla terribile crisi sanitaria in corso.
Quali sono i sintomi del CoViD-19? Cosa rende il virus capace di infettare le persone?
I sintomi più comuni dell’infezione da CoViD-19 sono febbre, stanchezza, tosse secca e in casi più gravi difficoltà respiratorie. L’infettività del virus, come per la maggior parte dei virus, è dovuta alla presenza sulla superficie della particella virale di particolari proteine in grado di riconoscere e legarsi a proteine sulla superficie di cellule dell’ospite. Una volta avvenuto il riconoscimento, il virus può entrare nella cellula e trasmettere a questo punto le informazioni contenute nel suo codice genetico per costruire nuove particelle virali che poi usciranno e potranno infettare altre cellule.
Ci sono persone più predisposte a contrarre la malattia? Si dice infatti, ad esempio, che gli anziani siano più a rischio. È vero? Ma quanto di più?
Come nel caso di svariate malattie, ci sono gruppi di persone più a rischio di altre. Giustamente la domanda riguarda la predisposizione a contrarre la malattia, non l’infezione. Persone che hanno altre patologie in corso o che sono in condizioni di salute precaria sono quelle che corrono un rischio maggiore che l’infezione di questo virus conduca a sviluppare la malattia sintomatica conclamata. Gli anziani spesso convivono con altre patologie quali il diabete, problemi al sistema cardio-circolatorio, problemi respiratori, sistemi immunitari deboli, etc. Ciò rende più probabile il fatto che se vengono infettati faccia la sua comparsa la malattia CoViD-19. Quantificare questo rischio non è una cosa facile, e ciò spesso dipende dalla situazione medica del soggetto e non dal virus in sé. Quindi stabilire quanto siano più a rischio certi gruppi rispetto ad altri non è molto semplice.
Siamo confusi quando dobbiamo valutare il rischio cui siamo oggi realmente esposti. Il test di depistaggio è affidabile? È vero che il tampone può risultare negativo anche se il soggetto è “infetto” perché è un test “locale”, quindi se il virus non ha ancora nidificato in quel punto, non lo rileva? La sierologia è invece “globale” e quindi più attendibile?
Purtroppo non saprei esattamente cosa s’intende con “test di depistaggio”; solitamente con ciò ci si riferisce ai test che si fanno, per esempio, negli aeroporti per cercare di identificare in maniera estremamente veloce quali sono gli individui da “depistare” cioè da mettere in quarantena piuttosto che lasciarli circolare liberamente. Test quali misurare la temperatura corporea mentre passano sotto a uno scanner. Chiaramente questi non sono test del tutto affidabili proprio perché non vanno a cercare la presenza del virus (come i tamponi) o di anticorpi (come i sierologici), ma sono gli unici che conducono ad una risposta immediata. I test da effettuare sui tamponi o la ricerca degli anticorpi nel siero richiedono troppo tempo e macchinari specializzati per poter esser usati in aeroporti o stazioni in maniera metodica. Entrambi i test, quello da tampone e quello sierologico, sono invece affidabili. È vero che, se una persona presenta una piccolissima carica virale, potrebbe risultare in un test per tampone negativo, però in questo caso è molto improbabile che l’infezione possa portare (almeno in quel momento) alla malattia CoViD-19. Il test per tampone solitamente va a cercare direttamente l’informazione genetica del virus, spesso mediante una delle varie tecnologie basate sull’amplificazione del materiale genetico (PCR, polymerase Chain Reaction) e quindi lo possiamo considerare un metodo “diretto”. Ricordiamoci che questo test può essere effettuato sia da tampone (e quindi con campionatura locale, ma di facile reperimento: swab buccale) sia dal siero quindi rilevando la presenza dell’informazione genetica del virus nel siero. Invece spesso, quando parliamo di sierologia, intendiamo la ricerca di anticorpi prodotti dall’organismo infetto “contro” il virus, ossia uno dei prodotti del sistema immunitario sviluppato per combattere i virus. Questa è una procedura indiretta perché si va a cercare la risposta del corpo contro il virus piuttosto che direttamente il virus.
Ci può spiegare la differenza fra epidemia e pandemia? Chi le dichiara formalmente?
Per epidemia s’intende il diffondersi di una malattia con una diffusione nello spazio e nel tempo superiore a quell’attesa in condizioni endemiche; ovvero per una malattia ci si attende una certa diffusione in un arco di tempo e in una certa zona, le cosiddette condizioni endemiche della malattia. Se questa diffusione aumenta in modo anomalo e superiore a quello atteso si parla di epidemia (dal greco epi + demos, ossia “sopra il popolo”). Quindi per epidemia s’intende una malattia che si sta diffondendo in modo anomalo in una popolazione di una o più aree geografiche. Quando scoppia un’epidemia, la dichiarazione formale avviene tramite la struttura adibita al monitoraggio sanitario del territorio interessato (per esempio Regione, Governo). Le epidemie possono essere di svariata natura, se in una certa regione c’e’ un aumento significativo e superiore al livello atteso. Per fare un esempio, nei casi di neoplasie in una certa area, adottando tale criterio, si potrà dire che c’è un’epidemia in corso, magari dovuta a condizioni quali l’inquinamento. Quindi abbiamo che il concetto di epidemia (e anche di pandemia) non è necessariamente legato ad infezioni, ma soprattutto ad una diffusione spazio-temporale anomala.
Una pandemia (la cui etimologia dal greco è pan + demos, ossia “tutto il popolo”) indica una malattia epidemica che colpisce vaste aree geografiche su scala planetaria. Essendovi una diffusione al di là di una ristretta regione geografica, l’autorità preposta a dichiarare una pandemia è l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha come territorio di competenza l’intero globo.
Ci può spiegare in breve che cosa indica il tasso di contagiosità R0?
R0 indica il “numero di riproduzione di base” ed è un parametro che indica quante persone vengono infettate da qualcuno che presenta l’infezione in fase produttiva; ossia quante persone vengono contagiate da un soggetto positivo. È un indice che aiuta a monitorare la progressione del contagio. Tanto per fare degli esempi, se esistesse solo una persona contagiata che viene isolata e questa non ha incontrato nessuno, l’R0 sarebbe uguale a 0. Se, invece, una persona contagiata, in media, contagia un’altra persona, l’R0 è uguale a 1 e si avrebbe una progressione lineare del contagio (1 caso+1+1+1….) e non si parlerebbe di epidemia. Se l’R0 è uguale a 2 (o superiore) allora una persona contagia in media due (o più) persone e la progressione del contagio diventa esponenziale (1 caso+2+4+8+16+32…): in tal caso l’andamento della diffusione della malattia diventa epidemico. Come si può vedere dall’esempio sopra di R0=0, non è solo la biologia a determinare il valore di R0, ma anche i comportamenti e le misure di contenimento; infatti, le restrizioni attuali in atto sono certamente efficaci per ridurre l’R0 che, se portato sotto la soglia 1, rende contenibile l’epidemia.
Sentiamo sempre più spesso parlare di virologia, epidemiologia e infettivologia. Ma quali sono le differenze tra queste discipline?
La virologia studia i virus in tutte le loro forme e categorie, e sotto tutti i punti di vista, dalla struttura, al contenuto informativo e alla loro biologia. E qui vorrei precisare che sebbene siano entità biologiche i virus però non sono da considerare organismi viventi, soprattutto per il fatto che non sono in grado di riprodursi autonomamente e non hanno attività metabolica propria. Infatti, l’esempio che si usa spesso nell’insegnamento dei virus è quello di una siringa contenente l’informazione genetica, la quale è in grado di infettare altre entità biologiche vive (cellule). Queste non possono distinguere l’informazione del virus dalla propria e quindi, una volta infettate, la “leggono” ed “eseguono” costruendo in tal modo nuove “siringhe” in grado di infettare altre entità biologiche situate sia all’interno dello stesso organismo contagiato sia in altri organismi non ancora contagiati.
L’epidemiologia studia, come dice il termine, le malattie epidemiche (e, di conseguenza, pandemiche) sia sotto il profilo medico che sotto il profilo della loro diffusione, della possibilità di contenimento, dei metodi di contrasto, etc. L’epidemiologia non riguarda soltanto malattie virali, ma qualunque malattia (o condizione) che ha andamenti epidemici. Infatti, si parla spesso di epidemia di altri tipi di entità biologiche (batteri o parassiti eucarioti) o di condizioni non dovute ad entità biologiche; un esempio di questo è la “malattia di Minamata”.
L’infettivologia studia invece le malattie infettive, le infezioni, le loro cause e i metodi di contrasto, nonché tutte le entità biologiche che possono causare infezione e che sono affette da condizioni infettive quali per esempio il sistema immunitario e l’infiammazione. Come esempi possiamo pensare al tetano, dovuto ad un’infezione del batterio Closrtidium tetani. O ad infezioni da organismi eucarioti (quindi non virali o batterici) come la Tenia solium, ossia il verme solitario.
In sunto si può dire che la virologia studia i virus in sensu strictu, mentre l’epidemiologia studia le epidemie ed il diffondersi in modo epidemico di condizioni e malattie per se, mentre, infine, l’infettivologia studia tutto ciò che riguarda e può causare un’infezione.
Perché si tende a distinguere tra morti di Covid-19 e morti per Covid-19? Cioè, quando un decesso è imputabile al solo Covid-19 e quando semplicemente interagisce con altre patologie pregresse?
Più che morti “di” o “per” CoViD userei la terminologia di morti “con” e “per” CoViD-19; la distinzione sta nel distinguere se un decesso è avvenuto per sintomi dovuti al virus (“per”) o se il decesso è stato causato da una diversa patologia, ma il paziente era risultato positivo, ossia infetto da CoViD-19 al momento del decesso. Un decesso può essere imputato al solo virus soprattutto in casi in cui il paziente non presentava altre patologie al momento dell’infezione.
Regna una certa confusione circa il calcolo del tasso di mortalità legato al CoViD-19. Si tende a volte a sottostimarlo, altre a sovrastimarlo. Cosa ci dice in proposito?
Spesso il tasso di mortalità del CoViD-19 è calcolato come il rapporto fra decessi ad esso imputabili e numero di casi risultati positivi. Ma i soggetti cui si applica il tampone sono per lo più coloro che si recano all’ospedale in quanto manifestano sintomi gravi. Nella realtà, in Italia si stima la presenza di qualche milione di asintomatici; ne segue che il tasso di mortalità effettivo dovrebbe venire riveduto al ribasso, in un intervallo compreso fra l’1% e il 3%.
I coronavirus sono una famiglia di virus noti per causare malattie dal raffreddore ad altre più gravi, come la Sars e la Mers. Si dice che siamo al settimo coronavirus. In cosa si distingue dagli altri 6 ?
In realtà il nome del virus che causa la malattia detta CoViD-19 è SARS-CoV-2 e fa parte della famiglia dei coronaviridae. I virus di questa famiglia sono caratterizzati dal fatto che causano infezioni del tratto respiratorio in mammiferi ed uccelli. Si dice che siamo al settimo coronavirus perché conosciamo sei diverse specie di Coronavirus capaci di infettare l’uomo di cui una è divisa in due ceppi, appunto il SARS ed il SARS-CoV-2, ossia quello che causa il CoViD. I Coronaviridae individuati e classificati sono 28 e divisi in quattro gruppi detti Alphacoronavirus, Betacoronavirus, Gammacoronavirus e Deltacoronavirus. SARS e SARS-CoV-2 fanno parte dei Betacoronavirus.
Ci parli della struttura molecolare del Covid-19. Si moltiplica per RNA e non per DNA? Che differenza c’è nel processo di riproduzione?
Il SARS-CoV-2 è un virus a RNA, cioè la molecola che porta l’informazione genetica del virus, e contenuta nell’interno dello stesso, è composta da acido ribonucleico e non di DNA (acido desossiribonucleico) come nell’uomo. Noi usiamo l’RNA come mediatore dell’informazione genetica ossia ciò che produce la trasformazione da informazione a effettive entità fisiche (proteine, enzimi, etc.) che eseguono o costruiscono ciò che è contenuto nell’informazione. I virus a RNA lo usano come depositario dell’informazione. Per replicarsi il virus ha bisogno che vengano costruite le proteine necessarie per formare il virione, che venga copiato l’RNA e che poi tutto venga assemblato in una (o tantissime) nuove particelle virali capaci di infettare altre cellule o altri organismi. Il ciclo replicativo del virus, cioè la maniera con cui si moltiplica, dipende quindi dal sistema di replicazione della cellula infettata, non possedendo il virus alcun tipo di metabolismo proprio. Una volta che il virus ha introdotto il suo RNA nella cellula, esso viene letto come se fosse nativo della cellula stessa, ma l’informazione che contiene costringe la cellula ospite a costruire tutti i pezzi necessari, a fare copie del RNA e ad assemblare nuove particelle virali pronte a propagare l’infezione ad altre cellule od organismi.
In una situazione così preoccupante, quanto possiamo fidarci delle affermazioni scientifiche in merito al coronavirus? Lei ha trovato notizie false o affermazioni non comprovate?
Sì, la quantità di notizie false purtroppo è molto elevata, soprattutto grazie alla diffusione di notizie attraverso i canali social che non passano alcun vaglio se non, sperabilmente, quello del buon senso di chi le legge. Purtroppo questo provoca una grande quantità d’informazione distorta a livello generale e crea diffidenza. Ci possiamo sicuramente fidare delle informazioni scientifiche che arrivano attraverso canali comprovati di controllo della qualità dell’informazione, quali riviste scientifiche, organi preposti (quali l’Istituto Superiore di Sanità per l’Italia), grandi testate accreditate che controllano le fonti da cui ricevono le notizie e che fanno chiari riferimenti a fonti attendibili, rintracciabili e controllabili. I messaggi, soprattutto quelli che iniziano con introduzioni del tipo: “ho ricevuto questo video via social dall’amico di mio cugino che conosce uno che lavora in Cina dove finalmente si dice la verità…..” purtroppo spesso contengono notizie false ed inattendibili.
È ormai assodato che il virus abbia origine naturale, tuttavia le voci dei complottisti si fanno ancora sentire. C’è un fondo di verità nelle loro teorie?
Direi di no. Innanzitutto ormai è provato che il virus abbia origine naturale: di ciò abbiamo riscontro da fonti attendibili e controllabili. Ormai sono stati analizzati tantissimi individui immunizzati dal virus; è stata cioè analizzata la loro informazione e organizzazione genetica. Non si sono trovate alcune prove di manipolazione umana, cosa che si riscontrerebbe a partire da questo tipo di analisi. Mentre per le teorie complottiste non si ha nessun tipo di prova o di fonte attendibile. Purtroppo le teorie complottiste si moltiplicano grazie alla larghissima diffusione dei «social».
Al termine dell’epidemia, se mai si potrà parlare di una vera e propria fine, ci saranno delle forme di controllo e limitazione all’esercizio della socialità?
Questo purtroppo non saprei dirlo perché si tratta di un aspetto che riguarda la politica e la gestione della società. Le restrizioni in atto servono ad arginare la diffusione di questa pandemia, ma una volta sconfitta l’epidemia verrà ovviamente a mancare anche la necessità di queste forme restrittive della libertà. C’è purtroppo la possibilità che in questo periodo la società muti tanto e non possiamo escludere che queste forme di controllo e limitazione si perpetuino pure nel futuro. Questa però è una domanda alla quale non credo di essere la persona più adatta a rispondere, ma la girerei a chi si occupa di politica, economia e sociologia.
Le zanzare possono essere un problema grave per la diffusione del virus durante il periodo estivo?
Le zanzare non sono vettori per questo tipo d’infezione e per questo particolare virus.
Quanto resta attaccato alle superfici il virus?
Questa domanda è molto ben formulata. Spesso sento chiedere della “sopravvivenza” del virus sulle superfici o nell’ambiente, e siccome il virus non è da considerarsi vivo sarebbe più giusto chiedersi quanto “resti” sulle superfici o nell’ambiente in forma attiva, ossia sia capace di infettare (ricordiamoci l’esempio di virus come siringhe cariche, piuttosto che come organismi viventi). Secondo le fonti che considero più attendibili (in questo caso l’Istituto Superiore di Sanità) il virus rimane attivo sulle superfici e nell’ambiente fino ad alcune ore. Infatti, per questo è utilissimo disinfettare e pulire le superfici spesso, e pulirsi le mani spesso, anche con semplici lavaggi.
Il virus può infettare anche gli animali? Se è così come avremo la certezza di averlo eliminato definitivamente?
Sì, il virus è in grado di infettare gli animali, ma non è detto che in questi ultimi provochi la malattia. Per la comparsa nell’uomo di questo virus (o almeno una delle sue forme) si suppone che sia “saltato” dal pipistrello all’uomo. Ci sono molti esempi di virus che passano dall’animale all’uomo e viceversa. Varie forme d’influenza appunto provengono da uccelli o maiali. Non credo che si possa parlare di eliminazione definitiva del virus, come non abbiamo mai definitivamente eliminato altri virus quali l’influenza comune o raffreddore comune. Quello che ci si augura succederà è che riusciremo a ridurre anche quest’infezione, e la conseguente malattia, ad un evento endemico e che la nostra capacità di gestire e contrastare l’infezione, e la malattia, permetteranno di non trovarci più in situazioni epidemiche/pandemiche come quella che stiamo vivendo oggi.
Fino a poco tempo fa siamo stati il paese con il più alto numero di contagi e decessi. Quale può essere stata la causa? Forse la mancata tempestività nel dare una risposta immediata all’epidemia o non sono stati attuati adeguati e sufficienti provvedimenti restrittivi?
Il fatto che siamo stati il Paese con il maggior numero di contagi e decessi sono principalmente un fatto temporale. Infatti, probabilmente, e purtroppo, altri Paesi ci supereranno presto, come testimonia la cronaca di questi giorni. I provvedimenti presi sicuramente condurranno questi numeri, e soprattutto il loro andamento, a diminuire e ad aiutarci a contenere la diffusione e l’entità di questa epidemia. I provvedimenti che sono stati presi in Italia sono, a mio parere, una risposta che darà i suoi frutti nel contenere e arrestare l’epidemia in corso. Non saprei immaginare come avremmo potuto agire più tempestivamente di quanto abbiamo fatto.
È possibile contrarre il virus più di una volta?
Si, è possibile, come nel caso di tanti altri virus. Basti pensare alle altre influenze virali che siamo ormai abituati a contrarre più volte, come il comune raffreddore.
Che differenza c’è fra rallentamento e fine del contagio? Si parla tanto di “picco” ma viene puntualmente spostato più in là. Cosa prevedono in realtà le curve epidemiologiche? Qual è la reale velocità con la quale si diffonde l’epidemia (il suo “tasso netto di riproduzione”)? In altre parole, quando, secondo proiezioni attendibili, l’emergenza potrà essere considerata finita?
Si dice che vi è un rallentamento del contagio quando il tasso di nuovi casi si riduce, e uno dei parametri che misura questo è l’R0 di cui abbiamo parlato prima. Consideriamo finita l’epidemia quando l’R0 arriva a valori uguali o inferiori a 1; in questo caso la malattia non è più considerata epidemica ma endemica. Parlare di fine del contagio è molto difficile perché finché esiste il virus esiste la possibilità di essere contagiati. Contagio non equivale a epidemia, ma significa solo la possibilità di contrarre il virus. Infatti, ogni anno abbiamo tante persone contagiate dall’influenza o dal comune raffreddore. Con picco del contagio si indica solitamente il momento di massima distribuzione del vettore di contagio (in questo caso il virus SARS-2), cioè si ha il “picco” quando la curva del tasso di crescita ha un flesso ed inizia a calare. Queste curve ci permettono di stimare quanto efficaci siano i metodi messi in atto per arginare la crescita del numero dei casi, quindi le varie curve ci permettono di effettuare delle proiezioni sul futuro dell’andamento della crisi epidemica. Dare una risposta su quando si potrà considerare finita l’emergenza non ne sarei capace, però esprimere una valutazione in base alle curve descrittive dell’epidemia è possibile. Quando vedremo un netto e costante calo del tasso di crescita di diffusione della malattia (e quindi anche del numero di nuovi casi), oltre ad una netta diminuzione costante del numero di positivi “attivi”, allora potremo parlare veramente di fine della fase di emergenza.
Quanto è importante l’uso dei guanti? Non sono loro stessi un mezzo di trasmissione se non cambiati spesso?
L’uso di guanti, come l’uso di tutti i dispositivi PPI (che significa, Personal Protection Instruments, ossia strumenti personali di protezione) è fondamentale come anche le profilassi di buona igiene, ad esempio lavarsi le mani, è utilissima per evitare sia di venire infettati, sia che infettiamo altri. Spesso ci scordiamo che il virus può anche arrivarci attraverso gli occhi oltre che attraverso il sistema respiratorio (naso, bocca) e se ci tocchiamo gli occhi con guanti o mani infette rischiamo di infettarci. Effettivamente anche i guanti sono potenzialmente infettanti come altre superfici quindi vanno cambiati spesso o sanificati e lavati. È buona prassi comunque una volta levati i guanti, eliminarli e indossarne di nuovi.
Qual è la potenza del contagio? Quanto a lungo bisogna rimanere esposti al virus per contrarlo?
Innanzitutto dipende da che cosa intendiamo per “potenza” del contagio. Se consideriamo come potenza quanto un infetto può infettare altre persone allora parliamo del R0. Questo è un fattore che cambia, nel senso che tutti i nostri sforzi per seguire le restrizioni imposte servono per portare l’R0 verso il valore di 1 o inferiore a 1; ciò indica che un infetto può al massimo infettare un’altra persona soltanto. Questo ridurrebbe l’epidemia ad una malattia “endemica” cioè presente in un territorio ma non con distribuzioni esponenziali. Però questa non è una caratteristica del virus di per sé. Se col termine “potenza” si vuole indicare invece quanto sia efficace il virus nell’infettare una persona, cioè quanto sia “efficiente” il virus, allora bisogna sapere qual è la quantità di virus che una persona deve incontrare per essere infettata. Di questo purtroppo non dispongo di evidenze e non saprei dare una risposta, soprattutto perché non abbiamo numeri riguardanti le persone infette ma asintomatiche.
Dopo quanto tempo dopo la contrazione del virus esso diventa contagioso?
Non si è ancora potuto stabilire formalmente ma si pensa che una persona infetta sia contagiosa già pochi giorni dopo aver contratto l’infezione. Un problema è rappresentato dal fatto che la comparsa dei sintomi di CoViD-19 avviene dopo un periodo di 10-14 giorni d’incubazione. Quindi, purtroppo, una persona è contagiosa prima della comparsa dei sintomi, se questi compaiono.
Perché le persone reagiscono in modo differente al virus?
Intendete, perché alcune persone hanno solo un po’ di febbre e tosse e alcune devono essere portate in terapia intensiva e altri ancora muoiono? In realtà la malattia, il CoViD-19, che può insorgere dopo l’infezione è, di fatto, la nostra reazione all’infezione. L’infezione può provocare appunto questa reazione e il grado di gravità dipende da moltissimi fattori: da quanto siamo “forti” al momento dell’infezione, se abbiamo altre patologie in atto e così via. La gravità della risposta può andare da “senza alcun sintomo” (i cosiddetti asintomatici) fino, purtroppo, a tutte le complicazioni che portano alla terapia intensiva.
Come si trasmette il virus? O meglio, semplicemente stando nello stesso ambiente di una persona infetta o bisogna essere esposti al virus a lungo?
La trasmissione del virus avviene principalmente per “via diretta” ossia per diretto passaggio del virus da una persona infetta ad una non infetta. Però non è la semplice presenza, o contatto, con una persona infetta che assicura il contagio. Per esempio, incontrare un solo virione (particelle di virus) non è sufficiente per contrarre l’infezione, ce ne vogliono, infatti, molti di più. Affinché una persona non infetta s’infetti bisogna che incontri una certa quantità di virus. E questa quantità varia da virus a virus. L’efficacia con cui una persona infetta riesce a contagiare un’altra dipende anche molto dal mezzo con cui si trasmette. Tosse, starnuti, etc. sono mezzi di trasmissione efficace perché le “goccioline di Flugge” (piccole gocce espulse durante uno starnuto o colpo di tosse) possono essere pregne di virus, e quindi aver sufficiente quantità di virioni i quali, se riescono ad entrare nel soggetto non infetto, lo possono infettare.
Il virus può essere trasmesso attraverso cellulari, maniglie delle porte o altri oggetti di uso quotidiano?
Si, in quanto sono delle superfici che, magari attraverso un colpo di tosse o uno starnuto, possono essere state contaminate da una persona infetta. Così ci si può trasmettere anche altri virus quali altri coronavirus che portano per esempio il raffreddore. Per questo è sempre meglio sanificare, o “disinfettare”, le superfici, soprattutto quelle di uso quotidiano e comuni.
Le donne in gravidanza presentano un rischio più elevato di ammalarsi gravemente di coronavirus?
Non saprei dire, però non credo, vista la distribuzione degli ammalati. Ovviamente, se una donna incinta presenta altre patologie o un sistema immunitario depresso, può essere a rischio per questo motivo e non per il fatto di essere incinta.
Ci sono modi per rendere il coronavirus inoffensivo?
Se per renderlo inoffensivo intendiamo che si può eliminarne la presenza, senz’altro; i protocolli di sanificazione con detergenti e la buona prassi d’igiene sono i metodi migliori per eliminarlo. Inoltre se si riesce ad approntare un vaccino, allora, di fatto, rendiamo i nostri fisici capaci di difendersi da soli e quindi di rendere il virus inoffensivo.
Che effetto potrebbe avere il virus su persone con disabilità?
Dipende sicuramente dal tipo di disabilità; se si pensa a disabilità quali immunodepressioni ed immunocompromissioni si potrebbe avere una maggior facilità di contrarre il CoViD-19 se si viene infettati dal SARS-2. Altri tipi di disabilità purtroppo comportano delle minori possibilità di attuare la stessa terapia che si applica a persone affette da CoViD-19 ma che non presentano disabilità. Penso, ad esempio, a persone che sono in dialisi o che hanno altre patologie. Le persone con disabilità purtroppo devono fronteggiare difficoltà maggiori legate al loro sistema sanitario e subire la somministrazione di altre terapie in generale, non solo quelle del SARS-2.
Come si distingue la malattia da coronavirus dalla normale influenza?
In realtà la malattia CoViD-19 è molto simile all’influenza; i sintomi sono spesso gli stessi, però nel caso del CoViD-19 sembrano essere più gravi e quindi portano più spesso alla necessità di un ricovero perché subentrano gravi difficoltà respiratorie. Quindi la distinzione maggiore rispetto alla normale influenza sta nella maggior gravità dei sintomi.
Mettendo le mascherine chirurgiche o FFP2/FFP3 nel forno microonde può servire ad annullare la carica virale del Corona Virus?
Le mascherine FFP2/FFP3 utilizzate non sono in realtà fatte per essere usate più volte. Sono mascherine monouso, e questo non tanto perché metodi quali i microonde (oppure lavarle, o metterle sotto i raggi UV) non possano ridurre la quantità di particelle virali, ma perché questi “strumenti” distruggono la qualità del materiale del filtro e se fossero riutilizzate non funzionerebbero più come si desidera.
Un paziente asintomatico per quanto tempo può infettare le altre persone?
Gli abituali 14 giorni o più a lungo?
Un paziente infetto è capace di contagiare altre persone fintanto che resta positivo ai test per la presenza del virus all’interno dell’organismo. Di fatto il paziente produrrà sempre meno virus a mano a mano che diminuisce l’infezione; però a che punto non ne produca abbastanza da essere contagioso non è ancora chiaro. Sicuramente un paziente che non ha sintomi è meno capace di trasmettere l’infezione, dato che non tossisce o starnutisce, però è sempre in grado di trasmetterla. Infatti, per questo è bene considerare contagiose le persone finché restano positive ai test per la presenza del virus al loro interno.
Francesco Magris