Cambiamenti climatici, come salvare il Pianeta e noi stessi?
Ospite e Relatore della serata il Prof. Gianrossano Giannini, già Professore Ordinario di Fisica Nucleare e Subnucleare dell’Università di Trieste, e Ambasciatore del Patto Europeo per il Clima (EuCliPA), con una relazione dal titolo: “Cambiamenti climatici, come salvare il Pianeta e noi stessi?”.
Slides della conferenza a cura del Prof. Gianrossano Giannini
Dal libro “Factfulness”, ed. Rizzoli 2018, di Hans Rosling
Test: Qual’è l’immagine corretta?
La risposta corretta è A. Il Pin del mondo è 1-1-1-4, un espediente mnemonico per ricordare la carta geografica giusta. Da sinistra a destra, il numero di miliardi, come un Pin. Americhe: 1, Europa: 1, Africa: 1, Asia: 4 (ho arrotondato le cifre). Come tutti i Pin, anche questo è destinato a cambiare. L’Onu prevede che alla fine di questo secolo non si registrerà quasi alcuna variazione nelle Americhe e in Europa, ma ci saranno 3 miliardi di persone in più in Africa e 1 in Asia. Nel 2100 il nuovo Pin del mondo sarà 1-1-4-5. Oltre l’80 per cento della popolazione mondiale vivrà in Africa e in Asia.
Se le previsioni dell’Onu sulla crescita demografica sono corrette, e se i redditi asiatico e africano continueranno a crescere al ritmo attuale, nei prossimi vent’anni il centro di gravità del mercato mondiale si sposterà dall’Atlantico all’Oceano Indiano. Oggi gli abitanti dei ricchi Paesi affacciati sull’Atlantico settentrionale, che rappresentano l’11 per cento della popolazione mondiale, formano il 60 per cento del mercato dei beni al consumo di livello 4. Già nel 2027, se i redditi seguiteranno ad aumentare di questo passo in tutto il pianeta, tale dato scenderà al 50 per cento. Nel 2040 il 60 per cento dei consumatori di livello 4 vivrà fuori dall’Occidente. Sì, penso che la dominazione occidentale dell’economia mondiale finirà ben presto.

I nordamericani e gli europei devono essere consapevoli che la maggior parte della popolazione mondiale vive in Asia. In termini di muscoli economici, «noi» stiamo diventando il 20 per cento, non l’80. Molti di «noi», però, non riescono a trovare un posto per questi numeri nella loro mentalità nostalgica. Non solo sbagliamo a giudicare le dimensioni dei monumenti ai caduti in Vietnam, ma anche la nostra importanza nel futuro mercato globale. Molti di noi si dimenticano di comportarsi correttamente con coloro che controlleranno gli accordi commerciali di domani.
«Secondo le previsioni, la Cina, l’India e le altre economie emergenti stanno incrementando le emissioni di anidride carbonica a una velocità che provocherà pericolosi cambiamenti climatici. In realtà, la Cina emette già più Co2 degli Stati Uniti e l’India più della Germania.»
Questa dichiarazione esplicita fu fatta dal ministro dell’Ambiente di un Paese dell’Unione Europea, membro di un gruppo di esperti impegnato a discutere il cambiamento climatico durante il World Economic Forum a Davos nel 2007. Il ministro lanciò le sue accuse in tono neutro, come se stesse constatando un’ovvietà. Se avesse guardato l’espressione dei suoi colleghi cinesi e indiani, tuttavia, si sarebbe reso conto che la sua opinione non era affatto ovvia. L’esperto cinese sembrava irritato, ma continuò a tenere gli occhi puntati davanti a sé. L’indiano, invece, non riuscì a stare fermo. Agitò il braccio, impaziente che il moderatore lo autorizzasse a intervenire.
Si alzò. Mentre spostava lo sguardo da un membro del gruppo all’altro, scese un breve silenzio. Il raffinato turbante blu e il costoso completo grigio scuro, insieme alla sua condotta in quel momento di indignazione, confermavano che era uno dei funzionari pubblici più influenti dell’India, con anni di esperienza come illustre esperto della Banca mondiale e del Fondo monetario europeo. Fece un ampio gesto verso i colleghi delle nazioni ricche e poi, in tono accusatorio, dichiarò: «Siete stati voi, i Paesi più ricchi, a metterci tutti in questa situazione critica. Bruciate quantità sempre maggiori di carbone e di petrolio da più di un secolo. Voi e voi soltanto ci avete spinti sull’orlo del cambiamento climatico». Quindi mutò postura all’improvviso, unì i palmi nel saluto indiano, si inchinò e, in tono molto benevolo, sussurrò: «Ma vi perdono, perché non sapevate cosa stavate facendo. Non bisogna mai accusare qualcuno con il senno di poi per un danno di cui era inconsapevole». Infine si raddrizzò e pronunciò l’ultima frase come un giudice che emette un verdetto, sottolineando ogni parola con un lento movimento dell’indice sollevato. «D’ora in poi, però, calcoleremo le emissioni di anidride carbonica pro capite.»
Non avrei potuto essere più d’accordo. Da un po’ di tempo mi inquietava il pensiero che la colpa del cambiamento climatico venisse sistematicamente attribuita alla Cina e all’India sulla base delle emissioni totali per nazione. Sarebbe stato come affermare che l’obesità era più grave in Cina che negli Stati Uniti perché il peso corporeo complessivo della popolazione cinese era più alto di quello della popolazione americana. Discutere delle emissioni per nazione era inutile in presenza di una variazione demografica così marcata. Secondo questa logica, la Norvegia, con i suoi 5 milioni di abitanti, avrebbe potuto emettere praticamente qualunque quantità di anidride carbonica pro capite.
In questo caso, i grandi numeri – emissioni complessive per nazione – andavano divisi per la popolazione di ciascun Paese per ottenere dati significativi e confrontabili. A prescindere che si misurino le infezioni da Hiv, il Pil, le vendite di cellulari, gli utenti di Internet o le emissioni di Co2, una misurazione pro capite – cioè per persona – sarà quasi sempre più significativa.
Dal libro: “Clima. Come evitare un disastro, Le soluzioni di oggi, Le sfide di domani” di Bill Gates, ed. La Nave di Teseo, 2020.
Un’ultima riflessione
Nel dibattito sul cambiamento climatico si è assistito purtroppo a un’inutile polarizzazione, per non parlare della confusione generata da informazioni contraddittorie e notizie fuorvianti. Dobbiamo rendere la discussione più seria e costruttiva e dobbiamo soprattutto imperniarla su piani realistici e specifici per l’azzeramento delle emissioni.
Sarebbe bello se ci fosse una qualche prodigiosa invenzione in grado di orientare la conversazione in una direzione più proficua. Naturalmente non esiste un congegno del genere. È qualcosa che dipende da ciascuno di noi.
La mia speranza è che si possa trasformare questo dibattito, condividendo i dati di fatto con le persone a noi più vicine: familiari, amici e leader. E non solo i dati di fatto che dimostrano la necessità di agire, ma anche quelli che indicano quali azioni saranno più utili. Uno degli obiettivi che mi prefiggevo scrivendo questo libro era di stimolare questo tipo di conversazione.
Spero inoltre che i piani possano unirci al di là delle divisioni politiche. Come ho tentato di dimostrare, questa aspirazione non è ingenua come potrebbe sembrare. Nessuno ha monopolizzato il mercato con soluzioni efficaci per il cambiamento climatico. Che siate fautori del settore privato, dell’intervento governativo, dell’attivismo o di una qualche combinazione di questi elementi, ci sarà qualche progetto concreto che siete disposti ad appoggiare. Quanto alle idee su cui non siete d’accordo, forse sentite l’esigenza di pronunciarvi apertamente contro di esse, ed è comprensibile. Spero però che dedichiate più tempo ed energie a sostenere ciò a cui siete favorevoli che a opporvi a ciò a cui siete contrari.
Con la minaccia del cambiamento climatico che incombe su di noi, può essere difficile guardare al futuro con fiducia. Ma come ha scritto il mio amico Hans Rosling, il compianto paladino della salute globale ed educatore, nel suo splendido libro Factfulness: “Quando abbiamo una visione del mondo basata sui fatti, possiamo vedere che il mondo non è orribile come sembra e possiamo vedere quello che dobbiamo fare per continuare a renderlo migliore.”
Quando abbiamo una visione del cambiamento climatico basata sui fatti, possiamo vedere che abbiamo alcuni degli strumenti necessari a evitare una catastrofe climatica, ma non tutti. Possiamo vedere ciò che intralcia l’impiego delle soluzioni di cui disponiamo e lo sviluppo delle innovazioni di cui abbiamo bisogno. E possiamo vedere il lavoro che dobbiamo fare per superare tali ostacoli.
Sono ottimista perché so quello che è in grado di fare la tecnologia e perché so quello che è in grado di fare la gente. Sono profondamente incoraggiato da tutta la passione che vedo, soprattutto nei giovani, per risolvere questo problema. Se non perdiamo di vista il fine principale, ossia azzerare le emissioni, ed elaboriamo dei piani seri per raggiungere tale obiettivo, possiamo evitare una catastrofe. Possiamo mantenere il clima sopportabile per tutti, aiutare milioni di persone indigenti a migliorare le proprie condizioni di vita e preservare il pianeta per le generazioni future.